Un secolo di vita per lo storico Mulino di Napoli, l’intervista ad Antimo Caputo.
Mulino Caputo è una storia fatta di famiglia, dedizione, appartenenza e farina. Il profumo del grano e il ritmo della macinazione lenta sono gli elementi che condiscono 100 anni di racconti sempre con lo stesso nome e negli stessi luoghi, custodi preziosi dei segreti dell’arte bianca maturati in 3 generazioni di Maestri Mugnai Napoletani.
Antimo Caputo, Ceo del Mulino di Napoli e terza generazione alla guida della società
fondata nel 1924, in questa azienda “ci è nato” e dal giorno 0 ha sempre raccolto le
opportunità offerte dall’ampliamento del sapere e della tecnologia, lasciando invariata la natura e il cuore del lavoro.
Il 2024 è un anno importante per Mulino Caputo perché compie 100 anni di attività. Un secolo di storia di un Mulino senza tempo, che guarda sempre al futuro senza mai lasciare il passato, pur essendo assolutamente figlio del suo tempo.
La storia dell’azienda si avvia con i bisnonni di Antimo Caputo, che egli stesso definisce “immigrati al contrario”. I fondatori Carmine e Pasquale Caputo, immigrati nel New Jersey, tornano a Capua per sposare due sorelle, vendendo l’attività che avevano avviato negli Stati Uniti e comprando un pastificio con mulino. Nel 1924, poi, Antimo Caputo compra il mulino di Napoli, dando avvio all’azienda che oggi conosciamo.
I momenti fondamentali, l’export e l’identità del prodotto: l’intervista ad Antimo Caputo
D. Quali sono stati i momenti più importanti che hanno portato il marchio Caputo ad essere l’eccellenza che conosciamo oggi?
R. In primis dobbiamo ringraziare la caparbietà con cui i miei nonni, Antimo Caputo e Maddalena Montella, hanno portato avanti l’azienda in un momento storico importante e difficile come quello della seconda guerra mondiale.
Fondamentale è stato il momento in cui, negli anni ’60, nonno Antimo ha deciso di
chiudere il pastificio e concentrare l’attività nell’arte molitoria e sulla farina. L’azienda
subisce una grande virata.
L’arrivo della “nuova generazione” è poi un altro passaggio importante, quando
subentrano mio padre Carmine ed il fratello Eugenio, ancora oggi attivi in azienda.
Entrambi danno vigore a Mulino Caputo proiettandolo in avanti. Inizia il raddoppio del mulino e c’è un passaggio da un’attività più artigianale a un’ottica più imprenditoriale. Si passa, insomma, ad un’organizzazione più vicina al mercato.
Ed ancora, il nuovo passaggio generazionale ed il mio ingresso in azienda. Al mio arrivo ho trovato un’azienda fortissima, riconoscibile, profondamente legata al territorio, ma che era anche “pronta ad esplodere” fuori.
Guardando all’estero mi resi conto che, spedire un container a New York costava poco in più rispetto a mandare un camion a Milano. E puntando sul forte richiamo alla napoletaneità, spingemmo moltissimo nelle spedizioni e nell’export, iniziando le nostre collaborazioni con realtà come la Contra. Per noi la logistica è così diventato un asset del nostro agire commerciale.
D. Ancora oggi, dopo un secolo di storia, cosa si prova a vedere i propri prodotti apprezzati e venduti a km di distanza da casa?
R. Quando mi arrivano foto dalle Hawaii o da posti improbabili con i pacchi di farina Caputo è una grandissima soddisfazione. Un motivo d’orgoglio davvero. Ogni pacchetto che esce da qui dentro porta il nostro cognome e vederlo dall’altra parte del mondo non smetterà mai di emozionarci.
D. Quali sono stati i mercati più difficili nei quali affermarsi?
R. Il mercato più difficile è quello dove c’è meno cultura gastronomica. Noi abbiamo un prodotto di altissima qualità e grande identità. Dove non c’è cultura gastronomica è difficile essere riconosciuti. E considerando che i costi delle spedizioni sono aumentati, rileviamo un gap prezzo importante con i prodotti locali. Per pagare quindi il plus del prodotto Caputo c’è bisogno di conoscerlo. Il nostro è un ingrediente semplice. Se non ne riesci a riconoscere la qualità assoluta della nostra farina, non sei nemmeno disposto a pagare quel poco in più per avere un prodotto che merita.
D. Il prodotto più apprezzato?
R. Nemmeno a dirlo, la farina pizzeria. Si conferma l’asse imbattibile di: Napoli-Pizza-Caputo. E’ un po’ come un centravanti di sfondamento: è il primo ad “entrare”. Poi si scopre tutta la magia della produzione.
D. L’azienda ha inaugurato un nuovo grande stabilimento a Campobasso per far
fronte alla sempre crescente richiesta della sua farina. Ma Mulino Caputo rimane il
Mulino di Napoli, lì dove è nato, a San Giovanni a Teduccio. Come convive una realtà d’eccellenza in un’ambiente non sempre facile?
D. E’ sopravvissuta per tanti anni, combattendo anche criticità pratiche ed ambientali relative, ad esempio, al traffico. Ora nella sede di San Giovanni non arrivano più i containers, ma immaginate, prima, l’arrivo di un contenitore nel piazzale di un edificio.
Sicuramente è stato difficile a livello logistico, dall’ingresso al posizionamento, fino al parcheggio. A Campobasso ora abbiamo sicuramente più spazio e un’industria attrezzata. Ma il nostro principio rimane sempre crescere rimanendo quello che siamo.
Essere il Mulino di Napoli non indica “solo” il luogo. Napoli è un concetto.